Cosa mangiare in Toscana
Il cibo racconta

pubblicato il 18/01/2018 16:10:57
In Toscana non si punta alle grandi cose: si preferisce fare in modo che le piccole cose possano diventare un po’ più grandi. Con gusto e passione. Alla scoperta d’ingredienti genuini, da elaborare con sapienza e sobrietà. Se è vero che la parola crisi ha dentro di sé la scelta, essendo un momento di pericolo, ma anche di opportunità, questi anni critici hanno portato alla rivalutazione della semplicità, ai piatti della tradizione. Basti pensare alla fettunta: pane toscano abbrustolito con un po’ d’olio extravergine d’oliva, un pizzico di sale e dell’aglio strofinato, per chi lo ama. Dov’è l’eccellenza? Nella qualità delle materie prime: l’olio extravergine d’oliva deve essere giovane e fruttato, cioè fresco di spremitura. Il sale grosso pestato nel mortaio, non quello fino. Così i pici hanno la consistenza di un tempo che viene da lontano e sa di campagna. Il ragù brilla nel piatto e illumina i sorrisi.

La pasta nella cucina toscana occupa il seggio della regina. Nei menù dei ristoranti più eleganti o nelle liste scritte sulle lavagnette delle trattorie, non manca mai la gloria della gastronomia della regione, i pici (o pinci). In origine erano un piatto povero della cucina contadina, fatto con il minimo indispensabile degli ingredienti disponibili nelle case – acqua, farina, sale e filo d’olio extravergine d’oliva. Piatto semplice per definizione, che però va eseguito con maestri e abilità. Sughi un tempo abituali nelle campagne erano all’aglione e alle briciole di pane. Adesso si condiscono anche con ragù di lepre o di anatra. Da sperimentare. Il ragù brilla nel piatto e illumina i sorrisi.

Nei ristoranti toscani è ampia anche l’offerta di carni – dalla tradizionale bistecca toscana, chiamata Fiorentina – al cinghiale, alla selvaggina. Cuocere una bistecca come si deve non è facile, come del resto preparare il cinghiale. La sua carne richiede ricette che la ammorbidiscano un po’, come gli spezzatini o i ragù, che si sposano perfettamente con le pappardelle. Certo è che per le cotture in umido, alla cacciatora, al vino rosso, bisogna prevedere tempi lunghi e una marinatura preventiva, senza la quale rimarrebbe un gusto di selvatico, che si deve tramutare in retrogusto di bosco. Per questo in Toscana, vicino ai ristoranti, si sente odore di soffritto fin dalle 9:00 di mattina. Le preparazioni sono lunghe, come quella della ribollita – o zuppa di pane - . In campagna “non si buttava via niente” e questo piatto è figlio della tradizione popolare e della passione delle forti massaie toscane. Ribollita sta per “bollita di nuovo” e si riferisce al fatto che per preparare questo primo ci si serviva delle verdure cotte, avanzate dei pasti dei giorni precedenti, fatte cuocere un’altra volta assieme al pane raffermo. In tutta la regione, ogni provincia, ogni città, ogni paese ha la sua versione, per cui non esiste una ricetta standard, ma esiste una regola fondamentale: per chiamarsi ribollita deve contenere i fagioli cannellini, il cavolo nero e il cavolo verza.